Il mio Capodanno. Lettera alla Scuola da una docente napoletana di Diritto

Il mio Capodanno. Lettera alla Scuola da una docente napoletana di Diritto

Cara Scuola il primo settembre è il nostro Capodanno, ma non credere che per noi sia sempre una festa: le aspettative su di te crescono ormai senza freno, da un lato, e ancora non ci forniscono gli strumenti per dare il meglio, dall’altro.
Ieri per me è stato un inizio più pesante del solito, con la morte nel cuore per non potermi sentire utile alla mia città. Quando ho appreso degli stupri a Caivano e della morte assurda di un giovane e talentuoso musicista, il mio pensiero è andato subito ai carnefici prima ancora che alle vittime: è a loro che penso quando qualcosa di brutto accade a Napoli perché quando si tratta di minori potrebbero essere tutti alunni miei. Quelli cresciuti in strada non vanno al Liceo, vanno al Professionale, al massimo al Tecnico ma spesso non ci vanno affatto. I ragazzi che pensano ad una bambina come ad un oggetto sessuale sono disperati, un minore che esce armato è disperato, ogni volta che un episodio di violenza coinvolge un minore noi abbiamo di fronte un forte disagio, lo scarto della società: è come quando filtri l’olio grezzo perché sul fondo c’è la morchia, quella melma che se lasciata lì rovinerà tutto l’olio, e loro sono proprio lì, sul fondo, sono morchia. Tuttavia è certo che qualcuno abbia deciso per loro, che li abbia condannati sin da piccoli mettendogli una pistola o un coltello in mano facendogli credere che vivere bene equivalga ad imporsi sugli altri, oppure che di fronte alla soddisfazione dei propri bisogni quelli degli altri spariscono. I carnefici minorenni sono un pugno nello stomaco a ricordare alla società il suo fallimento, ed io ieri ho iniziato l’anno scolastico davvero male perché vorrei fare qualcosa per questi piccoli mostri e non posso, essendo costretta ancora una volta ad operare altrove, lontano da casa, stavolta in un Liceo. Sono di ruolo da 8 anni e non ho mai insegnato nella stessa scuola perché nessuno pensa ad assicurarci la stabilità anche quando sulla carta l’abbiamo raggiunta, eppure mai come adesso inserire il Diritto in tutte le scuole dovrebbe essere un’emergenza sociale. Il Vicepreside ieri mi ha detto una frase di una semplicità inspiegabilmente ancora incompresa: – noi siamo una scuola completa e non possiamo accettare che i nostri ragazzi dopo il diploma vadano a Giurisprudenza ed Economia senza nemmeno le basi del Diritto – . Ragazzi fortunati, ma nella mia città ce ne sono tanti che lo sono meno. Ieri, nelle 6 ore di viaggio per stare a scuola 45 minuti, rileggevo in treno la cronaca ed ho ripensato a quel bulletto di una prima meccanici che mi feci faticosamente amico, la cui mamma venne agli incontri prima di Natale a ringraziarmi perché il figlio non avrebbe potuto ricevere granché in regalo ma sotto l’albero aveva chiesto il libro di Diritto; ho ripensato anche a quell’alunno di prima dell’agrario che abbiamo dovuto bocciare per un numero eccessivo di assenze ed il mio 6, perché da me aveva trovato la voglia di farsi interrogare. Quando insegni nella tua terra hai una marcia in più perché la conosci, hai un piano prima ancora di mettere piede in classe, e dai il 100% perché non hai altro pensiero che dover fare il tuo lavoro: è così che il massimo si trasforma in meglio, senza il peso dell’incertezza. La mia terra è Napoli, ed io potrei essere certamente più utile qui che in qualunque altro posto del mondo, al centro storico o in periferia, a Caivano, a Ponticelli, ovunque, purché sia Napoli. Gli insegnanti di Diritto sono formati per trasferire gli strumenti per la pacifica convivenza fra gli uomini, per far comprendere concetti che questi piccoli mostri non hanno mai appreso in famiglia: etica, rispetto, lealtà, loro non lo sanno dove finisce il bene e inizia il male, dove finisce la loro libertà e inizia quella degli altri, gli serve proprio partire da zero, e partire anche dal Diritto. Il presidio di legalità nelle scuole siamo noi, non servono militari fuori bastiamo noi dentro, ma non soltanto per un anno e poi si cambia: i ragazzi che si perdono hanno già perso i genitori non devono perdere anche i professori altrimenti penseranno che anche la Scuola è fluida, come già lo sono diventate le relazioni, la famiglia e il lavoro. Se le famiglie non bastano cosa ci rimane se non investire sulla Scuola? Chi deve dare stabilità ai ragazzi se non la ritrovano nemmeno nei loro docenti? Tutti questi piccoli mostri io li vorrei abbracciare, spiegargli a che servono la pace e le regole, e quanto vale una vita. Ne ho visti troppi considerarsi meno di un’unghia incarnita, pensare a te, cara Scuola, come ad un parcheggio in cui farsi valere incutendo timore negli altri, li ho visti prendere a calci porte, sfondare muri di cartongesso a pugni, scavalcare finestre per fuggire, tagliarsi e fumare spinelli in bagno, fissare il vuoto, rubare soldi a compagni e insegnanti, usare un linguaggio volgare, violento e profondamente offensivo; tuttavia, solo quando a qualcuno di loro sono riuscita a lasciare qualcosa io ho sentito di aver fatto il mio dovere, è un piccolo miracolo che rende le relazioni costruttive e che ogni insegnante dovrebbe tentare nella condizione di lavoro migliore possibile: i nostri ragazzi hanno bisogno di speranza, buoni esempi e presenza costante, se non li ricevono da una mamma o un papà, che li trovino almeno in noi.

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