La notizia del giorno è la presentazione in aula del DDL sulla Cattedra Inclusiva che, nei fatti, ha diviso l’opinione pubblica: da un lato chi ritiene fondamentale superare normativamente l’attuale organizzazione didattica e dall’altro chi ritiene che ci sia ancora molta strada da fare prima di poter incidere in tal senso.

Abbiamo intervistato il professor Flavio Fogarolo, tra le altre cose amministratore del gruppo Facebook-Meta “Normativa Inclusione” e tra i primi ad esporre pubblicamente perplessità circa l’idea oggi diventata Disegno di Legge.

Professore, lei ha una lunga esperienza nel mondo della scuola e dell’inclusione, e la cattedra mista non le piace: da cosa deriva questa sua opinione?

Non ho nulla contro la “cattedra mista” se attivata dove ci sono le condizioni e per effetto di valutazione e scelte condivise. Viene chiamata anche co-teaching e si può fare già adesso, spesso con ottimi risultati per l’inclusione, senza nessun bisogno di una legge nuova, grazie all’autonomia didattica e alla flessibilità educativa che deve essere alla base di ogni intervento di personalizzazione.

Ma qui si parla di renderla obbligatoria per tutti in tutte le scuole (a parte i docenti anzianotti) e allora il discorso cambia radicalmente e non basta certo chiamarla “cattedra inclusiva” anziché “cattedra mista” per renderla davvero funzionale all’inclusione. Già l’idea di porre rigidi obblighi e divieti in un ambito come questo, in cui la scuola deve sempre essere in grado di rispondere a bisogni e situazioni diversissime e la flessibilità è indispensabile come l’aria, suscita enormi perplessità.

È una proposta irrealizzabile, soprattutto alla secondaria. Penso a chi all’inizio dell’anno redige gli orari, operazione già adesso spesso assai complessa, che dovrebbe inserire qualche ora di insegnamento per tutti gli insegnanti di sostegno in servizio, ovviamente nella classe di concorso di ciascuno, da incastrare però con le ore degli insegnanti curricolari che devono fare anche sostegno. In alcune situazioni sarebbe una operazione assolutamente impossibile: pensiamo a un liceo con un numero molto esiguo di studenti con disabilità dove i pochi posti complessivi di sostegno non basterebbero a far fare qualche ora a tutti neppure se arrivassimo (si spera di no!) allo spezzatino completo con 1 o 2 ore a testa. O agli insegnanti di sostegno abilitati in una materia che non è prevista nella scuola in cui insegnano. Facciamo un esempio: una docente di sostegno che svolge da anni egregiamente il suo lavoro in una scuola secondaria di primo grado, esperta ed apprezzata da colleghi e genitori, in grado di gestire anche situazioni complesse e promuovere un vero ambiente inclusivo in classe, è abilitata in francese ma in quella scuola si studia come seconda lingua solo spagnolo; in base a questa proposta dovrebbe rinunciare ad alcune ore di sostegno per svolgere qualche imprecisata attività di potenziamento e al suo posto andrebbe un collega che sapeva insegnare benissimo la sua materia ma che adesso deve adattarsi a fare anche questo. Basta chiamare tutto questo “cattedra inclusiva” per dire che fa bene all’inclusione?

Assurda e impraticabile la proposta sulla formazione. Come si può pensare di specializzare tutti, o quasi, gli insegnanti in servizio attraverso dei corsi oceanici di 80.000 persone al colpo (ma biennali, quindi 160.000 dal secondo anno in poi)? Ricordo che adesso si stanno formando in tutto 29.000 docenti di sostegno e di media le università accolgono 500 corsisti ciascuna, salvo una decina di atenei, tutti nel sud, che ne hanno da 1.000 in su. La frequenza on line è possibile al massimo per il 20% delle lezioni frontali, mai per laboratori e tirocini, ma questa proposta di legge ammette fino al 50% complessivo di attività a distanza, senza distinzione tra le lezioni e il resto. Molte università dicono che, secondo loro, è impossibile accogliere più 500 iscritti, anche meno, continuando a garantire una qualità accettabile della formazione. Hanno tutte torto? E, se loro non ci stanno, chi formerà tutte queste persone? Possibile che la qualità della formazione, e quindi poi della nostra inclusione, sia l’ultima cosa a cui pensare?

Nella sua esperienza, l’inclusione in Italia è un obiettivo ancora non completamente raggiunto: se la “cattedra inclusiva” non è la risposta giusta, che altri strumenti si potrebbero proporre?

Intanto ovviamente va salvaguardato e valorizzato quello che funziona.
Le criticità ci sono e su quelle si deve intervenire, ma seriamente, non con slogan o proposte scorciatoia. Penso, oltre a questa della cattedra inclusiva, anche alla proposta della FISH sul blocco della carriera degli insegnanti di sostegno (basta passaggi di ruolo, solo sostenendo un altro concorso si potrebbe passare al posto comune) che segue una linea completamente opposta all’intercambiabilità della cattedra inclusiva, separando rigidamente il loro percorso professionale da quello degli altri insegnati con inevitabili conseguenze anche nell’organizzazione didattica e nei rapporti con i colleghi.

Da una ricerca che abbiamo condotto questa estate[1] (io, Annamaria Giarolo e Stefania Vannucchi, amministratori del gruppo Facebook “Normativa Inclusione”) analizzando nove anni di quesiti di genitori riferiti al problema della continuità, è emerso che, come era prevedibile, è una criticità molto sentita (117 post raccolti) ma nessun genitore, ripeto “nessuno!”, si è mai lamentato perché l’insegnante di sostegno di ruolo di suo figlio è passato al posto comune. Abbiamo bisogno di insegnanti di sostegno motivati e competenti, che si sentano gratificati svolgendo un lavoro che è complicato ma se fatto bene può dare enormi soddisfazioni. Chi preferisce fare altro è meglio, per lui ma soprattutto per i ragazzi che dovrebbe seguire, che gli venga data la possibilità di cambiare.

Noi abbiamo tanti insegnanti di sostegno non specializzati e sarà così per anni dato che gli specializzati che escono dalle università coprono a malapena l’aumento dei posti di sostegno e il turnover. Quest’anno probabilmente neppure quelli visto che ai corsi sono stati ammessi 29.000 persone ma i posti di sostegno sono aumentati di 23.000 unità, mediamente abbiamo 5.000 insegnanti che passano su posto comune e poi ci sono i pensionamenti.

Quindi i non specializzati (ma non solo loro) vanno seriamente sostenuti, con servizi di supporto efficienti a livello di scuola e territorio. È grave che ci siano nelle nostre scuole tanti docenti di sostegno non formati, ma è scandaloso che anche quando sono palesemente in  difficoltà vengano lasciati da soli, magari chiusi in una auletta a parte.

E qui si arriva all’annoso problema della “delega” che coinvolge tutti, anche i docenti di sostegno esperti, a partire da tanti dirigenti (non tutti, per fortuna!) che appena sentono parlare di disabilità, DSA o BES chiamano il referente perché loro hanno altro a cui pensare. Spesso anche i colleghi curricolari hanno altro a cui pensare e affidano tutto quel che riguarda l’alunno con disabilità, il cui nome è riportato anche nel loro registro ma evidentemente solo per finta, all’insegnante di sostegno.

È un problema serio, ma non si risolve con artifizi macchinosi come questo della cattedra inclusiva. Abbiamo bisogni di insegnanti curricolari che sappiano davvero essere in grado di insegnare la loro materia a tutti (e tutti vuol dire “tutti”!) ma non ha senso specializzarli tutti sul sostegno. Tanto meno obbligarli tutti a svolgere anche questo incarico.

Io penso che gli insegnanti curricolari vadano innanzitutto “responsabilizzati” ossia veramente resi responsabili degli esiti del loro insegnamento anche nei confronti degli alunni con disabilità. È quello che si sta cercando di fare con il nuovo PEI che definisce finalmente obiettivi disciplinari per tutti, valutati dal docente curricolare. Ma se poi, come succede troppo spesso, i dirigenti neppure li convocano al GLO e sostengono, o giustificano, il loro atteggiamento di disimpegno, non cambia nulla.

Quali sono secondo lei le criticità del DDL presentato? Quali i punti di forza da sviluppare maggiormente?

A parte gli aspetti organizzativi che ho citato, la criticità maggiore, secondo me, è il rischio che venga pesantemente squalificata la professionalità dell’insegnante di sostegno, ridotto a una figura liberamente intercambiabile. Un lavoro che può fare qualunque insegnante, qualsiasi materia insegni, basta seguire un corso per metà on line.

È un dato di fatto che molti insegnanti di sostegno vivono con insoddisfazione la loro situazione lavorativa, si sentono svalutati dai colleghi e spesso anche dai ragazzi, ma questi atteggiamenti vanno contrastati valorizzando la loro professionalità e la loro specificità. Ci sono tanti insegnanti di sostegno bravissimi, che hanno diritto ad essere orgogliosi di quello che fanno e non possono accettare che il loro lavoro venga considerato come un’attività ritenuta necessaria ma, dato che nessuno la vuole fare, si decide di farla a turno, un po’ per uno, così tutti si sporcano un po’ le mani e sanno cosa vuol dire.

È positivo aver evidenziato il bisogno di sostenere la nostra inclusione attivando efficaci strutture di supporto. Abbiamo 230.000 insegnanti di sostegno, un terzo dei quali non specializzati, ma il supporto organizzativo e didattico che l’amministrazione scolastica destina a loro è praticamente inesistente. Non ci sono dati ufficiali ma credo che tra Ministero, USR, USP, CTS, Sportelli autismo e altro non si superino in tutta Italia le 1.000 persone dipendenti del ministero che sostengono chi si occupa di inclusione a scuola.

Il progetto di legge prevede un coordinamento pedagogico a livello di istituto e uno territoriale con alcune decine di migliaia di distacchi in tutto. Va bene essere ottimisti, ma fino a un certo punto.

Secondo me bisognerebbe prima di tutto valorizzare seriamente quello che esiste e funziona, garantire ovunque un servizio di supporto locale ai referenti per l’inclusione e alle Funzioni Strumentali,  dare finalmente indicazioni chiare sui GLI (Gruppi di Lavoro per l’Inclusione di istituto) a cui il Dlgs 66 affida l’importante compito di sostenere i consigli di classe nell’attuazione dei PEI ma su cui il ministero in sette anni non ha mai emesso uno straccio di nota o circolare per spiegare davvero cosa devono fare.

E far partire finalmente i GIT (Gruppi per l’Inclusione Territoriale) assegnando almeno a loro un po’ di distacchi.

 

 

[1] https://www.normativainclusione.it/2023/08/09/la-nostra-ricerca-lo-dice-chiaramente-non-e-bloccando-le-cattedre-degli-insegnanti-di-sostegno-che-si-assicura-la-loro-continuita/

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