Diciamo spesso che l’8 marzo non serve, che non ne abbiamo bisogno, che non è una festa e che non abbiamo nulla da festeggiare. Tralasciando la storia dei primi del ‘900 e che più che una festa sia nata come commemorazione delle vittime di una tragedia, in effetti appare abbastanza inutile ricordare il seguito se non ci focalizziamo, a partire dalle nostre conquiste da allora, sulle conseguenze che esse hanno generato più che sulle conquiste in sé. In effetti in 116 anni (dal 1908) abbiamo fatto enormi passi in avanti sulla strada dell’emancipazione, ma non ci serve una giornata per ricordarci questo: serve invece ricordare il prezzo che abbiamo dovuto pagare ed ancora oggi paghiamo, per vederci riconosciuti i nostri meriti ed il nostro talento, il che, nel 2024, è maledettamente ingiusto. L’8 marzo potrebbe servire a ricordare proprio il fastidio che la nostra emancipazione è capace di generare. Giornata internazionale del fastidio, si potrebbe ribattezzare così,  perché è certo che ogni donna, nella sua vita, abbia dato fastidio a qualcuno per il solo fatto di essere donna. A ben guardare, l’emancipazione femminile ha mostrato il suo lato oscuro solo quando l’abbiamo raggiunta, prima andava tutto bene perché le donne erano educate ed abituate alla sottomissione ed al sopruso, in tutti gli ambiti relazionali. Ancora oggi invece, danno fastidio le nostre capacità di autodeterminazione, al punto che nel tempo l’8 marzo è diventata un’occasione per parlare di violenza sulle donne e diritti negati, che pure non sono altro che le conseguenze del fastidio che siamo capaci di provocare, in modo ormai consapevole, sia nell’altro sesso, al punto da trasformarlo in follia fino alla morte, sia nelle altre donne, dal giudizio facile fino alla cattiveria. Quest’ultimo aspetto è quello che ancora ci divide, la solidarietà femminile, ma in un’epoca in cui ognuno pensa solo per sé indipendentemente dal genere, parlare di solidarietà è diventato anacronistico, allo stesso modo in cui lo sono diventati rispetto ed empatia. Le conseguenze del fastidio che siamo capaci di provocare sono le morti per mano di uomini violenti, incapaci di vivere relazioni paritarie, ma anche le discriminazione sul lavoro, l’irriconoscenza invidiosa del nostro potere di mettere al mondo i figli, il biasimo per le donne che scelgono di non averne, l’impossibilità di farsi valere in alcuni campi al pari degli uomini, l’arroganza di voler governare le nostre vite fuori e dentro una coppia, fuori e dentro una famiglia, fuori e dentro qualsiasi luogo in cui decidiamo di esprimere e coltivare i nostri talenti. Ogni donna dovrebbe avere uno spazio, in questa giornata, in cui poter liberamente denunciare tutte le persone che a vario titolo ha inconsapevolmente infastidito nella sua vita e quale conto ha dovuto pagare o sta ancora pagando, per il solo fatto di essere se stessa. Allora uscirebbero fuori tutti gli abusi subiti, il genitore castrante, lo zio pedofilo, il datore di lavoro che le ha umiliate, quello che le ha molestate, il fratello geloso, l’amica invidiosa, il fidanzato-marito-compagno possessivo che le ha usate, tradite, abbandonate, denigrate, picchiate. Tutte le donne avrebbero certamente qualcosa da dire in proposito fatta eccezione per quelle uccise, che non possono più parlare. Nella giornata del fastidio si potrebbe raccontare tanto, più che della cultura che abbiamo lasciato, di quella in cui ci siamo invischiate credendo di farla franca. È il fastidio il nostro nemico, è quello che dobbiamo combattere ed oggi, e non soltanto oggi, ricordare.

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