Momento chiave, nella storia del genere umano, è stato – a detta degli esperti – lo sviluppo del «pollice opponibile», particolare morfologico tipico della nostra specie, che garantisce, appunto, una presa salda, e, quindi, l’utilizzo degli utensili. Uno step nello sviluppo evolutivo da far risalire a quasi due milioni e mezzo di anni fa, con l’Homo habilis (alcuni scienziati, adesso, retrodatano questo step evolutivo di almeno ottocentomila anni, con l’Australopitecus africanus). Da quel momento in poi, poco importa se risalente a 2,4 milioni di anni fa, o a 3,2 milioni, ebbene, da quel momento in poi, la «presa di precisione» ha consentito alla nostra specie di utilizzare (e anche di costruire) utensili, permettendo al nostro stile di vita di modificarsi, fino a oggi, all’utilizzo, grazie alla presa di precisione, di un telefono cellulare (di uno smartphone). 

Ora, la provocazione che intendo lanciare oggi è proprio questa: possibile che solo nelle nostre aule scolastiche lo smartphone (ultimo rappresentante degli utensili da pollice opponibile, che hanno permesso alla nostra specie di evolversi) debba essere sequestrato? Tenuto fuori? Non utilizzato nella prassi didattica? Solo nelle nostre aule scolastiche (e universitarie) deve accadere la regressione a prima dello sviluppo del «pollice opponibile»? Per strada, in salumeria, negli studi professionali, ovunque, nel mondo vero, quello che sta al di fuori delle aule scolastiche, la tecnologia digitale è onnipresente, utile e utilizzata. App e QR Code, ad esempio, sono ovunque, con profitto e con giovamento di ciascun utente. Dalla domotica (per l’utilizzo della lavatrice domestica), ai software di prenotazione online di una visita specialistica, nessuno mette in discussione il ricorso a questi nuovi utensili. Perché a scuola non deve accadere ciò che già accade nella vita vera, da decenni, per fortuna, e con vantaggio per tutti? Solo nelle aule scolastiche (e universitarie) si deve perpetrare l’«enorme pupazzata» del ricorso alla vecchia tecnologia della matita, della penna, del foglio di carta?

 

L’utilizzo in aula di un’app come ChatGPT dev’essere vissutocome una sfida didattica, come un momento di doveroso addestramento all’utilizzo di questo nuovo utensile. La scuola deve fornire agli studenti la grammatica per l’utilizzo consapevole (e critico) degli utensili digitali, pena il tradimento della missione educativa intellettuale, cui (per contratto) siamo chiamati a svolgere. Altro che sequestri dei cellulari. Grammatica e addestramento consapevole, per giungere al possesso, da parte dei nostri studenti, di competenze digitali mature, valide per la vita. 

 

Tutta l’opera di Italo Calvino è percorsa da un interesse (da una curiosità) legata al gioco combinatorio, al gioco permutativo, dei segni, delle parole. L’interesse per questa sperimentazione linguistico-letteraria è presente in lui già prima di incontrare Raymond Queneau, a Parigi, e il suo gruppo dell’Oulipo, e rimarrà una costante, fino agli ultimi scritti. Risale al 1967 la prima versione del saggio Cibernetica e fantasmi, a testimoniare quanto antico fosse l’interesse di Calvino per la riflessione e per la sperimentazione di questa tecnica di narrazione, e, soprattutto, per i rapporti di permutazioni di forme su basi di dati immense, tra segni alfabetici e calcolatori elettronici:

 

fino a che punto le parole potevano combinarsi l’una con l’altra, generarsi una dall’altra

 

Questa era la sfida, dunque: attivare, osservare (forse, dominare) il processo combinatorio, per la generazione automatica di parole (di senso). Arrivo al nocciolo della riflessione di Calvino, intorno al rapporto tra l’arte della narrazione e i così detti cervelli elettronici:

 

il mondo nei suoi vari aspetti viene visto sempre più come discreto e non come continuo. Impiego il termine «discreto» nel senso che ha in matematica: quantità «discreta» cioè che si compone di parti separate. Il pensiero, che fino a ieri ci appariva come qualcosa di fluido, evocava in noi immagini lineari come un fiume che scorre o un filo che si sdipana, oppure immagini gassose, come una specie di nuvola […], oggi tendiamo a vederlo come una serie di stati discontinui, di combinazioni di impulsi su un numero finito (un numero enorme ma finito) di organi sensori e di controllo. I cervelli elettronici, se sono ancora lungi dal produrre tutte le funzioni d’un cervello umano, sono però già in grado di fornirci un modello teorico convincente per i processi più complessi della nostra memoria, delle nostre associazioni mentali, della nostra immaginazione, della nostra coscienza.

 

Dal modello lineare e unidirezionale, dunque, gerarchico, regolato dal principio di causa ed effetto, al modello reticolare, non più lineare, non più basato sul principio aristotelico della causa e dell’effetto, ma, appunto, multidirezionale, reticolare, com’è tipico dell’architettura dell’odierno WWW. Calvino riconosceva a Von Neumann e a Turing la paternità del mutamento di paradigma dei nostri «processi mentali»:

 

oggi sentiamo il velocissimo passaggio di segnali sugli intricati circuiti che collegano i relé, i diodi, i transistor di cui la nostra calotta cranica è stipata.

 

Giungendo alla constatazione (entusiastica) che, oggi, finalmente l’uomo:

 

sta cominciando a capire come si smonta e come si rimonta la più complicata e la più imprevedibile di tutte le sue macchine: il linguaggio […]. Con modelli matematici trasformazionali, la scuola americana di Chomsky esplora la struttura profonda del linguaggio.

 

Per concludere, subito dopo, sia pure in termini di domanda, che l’umanità, una volta fissati (e accettati) questi procedimenti automatici, e affidato a

 

un computer il compito di compiere queste operazioni, avremo la macchina capace di sostituire il poeta e lo scrittore? Così come abbiamo già macchine che leggono, macchine che eseguono un’analisi linguistica dei testi letterari, macchine che traducono, macchine che riassumono, così avremo macchine capaci di ideare e comporre poesie e romanzi?

 

Andando oltre la formulazione di Calvino, e pensando agli odierni sistemi di AI, ai così detti sistemi intelligenti ChatGPT, che sono già in grado di generare autonomamente testi, opere d’arte e musiche, mi permetto di aggiungere che tutto questo scenario futuribile (per Calvino), a lungo vagheggiato e accarezzato, oggi è sotto i nostri occhi, dentro gli schermi tattili dei nostri smartphone, come una realtà. App e sistemi generativi di testo, di immagini e di musiche, sicuramente da perfezionare, da mettere a punto, specie per quel che attiene alla tutela della privacy degli individui, ma capaci di ideare e di comporre testi (anche narrativi) esistono già. Personalmente, li utilizzo in classe, per le esercitazioni didattiche, con i miei studenti, ai quali insegno la grammatica di questi utensili digitali. Nella direzione degli odierni ChatGPT, Calvino aveva lucidamente intravisto (e descritto) tutto ciò:

 

penso a una macchina che metta in gioco sulla pagina tutti quegli elementi che siamo soliti considerare i più gelosi attributi dell’intimità psicologica, dell’esperienza vissuta, dell’imprevedibilità degli scatti d’umore, i sussulti e gli strazi e le illuminazioni interiori. Che cosa sono questi se non altrettanti campi linguistici, di cui possiamo arrivare a stabilire lessico grammatica sintassi e proprietà permutative?

[…] il banco di prova d’una macchina poetico-elettronica sarà la produzione di opere tradizionali, di poesie con forme metriche chiuse, di romanzi con tutte le regole.

 

[per chi volesse approfondire, mi permetto di suggerire il mio Calvino pop, Progedit, Bari 2023, in modo particolare, il capitolo Calvino cibernetico]

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