europee

A scrutinio concluso per le elezioni europee, ci sarà sicuramente da discutere nei prossimi giorni a proposito degli assetti complessivi dell’ Unione Europea dopo il voto che in Francia e Germania vede la macroscopica affermazione dei partiti di estrema destra con Macron che addirittura convoca le elezioni visto il risultato eccezionale di Marine le Pen.

Accanto alle analisi sul futuro dell’ Unione, è di grande interesse provare a leggere il risultato italiano con occhio rivolto tutto all’ interno della penisola.

Anzitutto qualche nota metodologica, di quelle risalenti ai tempi della cosiddetta prima Repubblica, quando nei partiti (allora ancora strutturati, strutturatissimi) c’ era chi aveva il compito di andare a leggere i dati e trarne delle considerazioni politiche e non solo numeriche.

Primo: analizzare le serie e le tendenze significa paragonare il risultato di oggi con almeno un paio di risultati delle tornate precedenti.

Secondo: vietato mischiare i risultati dei vari tipi di elezioni. “Patate con patate, cipolle con cipolle” era il modo (oggettivamente un po’ retrò) di spiegare che le europee si confrontano con le europee. Anche se qualche incursione in tornate elettorali di altra natura ma particolarmente significative e vicine nel tempo, può aiutare a districare qualche nodo apparentemente insolubile.

Terzo: i voti in percentuale servono per parlare con i giornali; per capire cosa è successo veramente ci vogliono i voti assoluti: il numero preciso di elettori che con la scheda in mano ha scelto materialmente questo o quel partito, questo o quel candidato.

L’ ASTENSIONE PIU’ ALTA DI SEMPRE

Punto di partenza? Il numero di elettori chiamati alle urne e il numero di voti validi effettivamente espressi. E proprio sull’ affluenza c’ è il dato che passerà alla storia delle elezioni in Italia. Per la prima volta vota meno della metà degli aventi diritto al voto. Appena uno 0,3%, intendiamoci. Ma il risultato è che un italiano su due non si è recato alle urne, cosa mai successa prima.

Dato che diventa ancora più interessante se rapportato a quello delle scorse europee, quando era stata soltanto la circoscrizione delle isole a restare sotto la soglia del 50%. Nel calo generalizzato, la partecipazione scende sotto il 50% in tutte le regioni meridionali.

NORD – SUD

In linea di massima, al nord la maggioranza degli elettori sceglie un partito della coalizione di centro destra. Al sud succede il contrario, con casi come la città di Napoli dove il campo largo (qui materialmente incarnato dal sindaco in carica, Gaetano Manfredi) supera il 70% dei consensi.

L’ altro dato che farà discutere è la presenza del Movimento Cinquestelle, che crolla in tutto il nord mentre conserva una presenza ancora significativa nel centro sud. Situazione, peraltro, speculare a quella della Lega.

LE GRANDI CITTA’

Con percentuali certamente più contenute, il dato di Napoli tiene in realtà in tutte le grandi città, dove il centrosinistra raccoglie più consenso del centrodestra; situazione che si inverte nei piccoli centri e nelle aree più periferiche.

I PARTITI

Naturalmente canta vittoria Giorgia Meloni. Che d’ altra parte ne ha tutte le ragioni, visto che negli ultimi dieci anni passa dal milione di voti del 2014 ai sei e mezzo di ieri, nonostante un biennio di governo, che nella tradizione repubblicana lascia in genere morti e feriti nel campo di chi governa.

Il controcanto in campo avversario è quello della Schlein, che brandendo il 24% ottenuto, si affretta a dichiarare : “Per noi un risultato straordinario. Forte responsabilità di costruire l’alternativa”. Senonché le sue dichiarazioni sembrano destinate mettere a tacere i critici interni al partito che ad analizzare quanto realmente accaduto. Per la segretaria DS è straordinario l’ essere passati dal 22% del 2019 al 24%. Senonché il dato è tutt’ altro che confortante a guardare meglio da vicino. Anzitutto il calcolo percentuale (quello per i giornalisti, ricordate?) nasconde il fatto che quel 22% del 2019 era fatto di sei milioni di voti, mentre il 24% di ieri, con la percentuale di astensionismo più bassa della storia repubblicana, corrisponde a poco meno di cinque milioni e mezzo di voti. Un calo in valore assoluto di mezzo milione di voti. Senza tener conto degli oramai lontanissimi tempi del PD del 2014 che di voti ne aveva raccolti il doppio, 11 milioni e 172mila.

Destini in qualche modo incrociati quelli di Lega e Movimento Cinquestelle. Lo tsunami politico rappresentato dai due partiti tra il  2013 ed il 2020 che fece parlare più di un commentatore di nascita di fatto della terza repubblica, parrebbe completamente rientrato.

La Lega del 2024 si ferma a due milioni di voti; perdendone più di sette rispetto al 2019. Non è bastato Vannacci, che ottiene un ottimo risultato ma in un contesto ridimensionato soprattutto dalle lotte interne tra salviniani e antisalviniani. Proprio Vannacci ci tiene a commentare il risultato lanciando frecciate al vecchio senatùr completamente defilatosi da un partito che dichiara di non sentire più suo.

Lontani anche i tempi dei quasi sei milioni di voti alle europee degli allora “grillini”. Anche qui con il fondatore e padre nobile ritiratosi lontano da politica ed elezioni. Il 2024 porta poco più di due milioni di voti e ne conserva una presenza “spendibile” soltanto in alcune regioni, soprattutto meridionali.

Per Forza Italia parla Tajani che si dice commosso e contento per il risultato. Ma anche qui vale il giochetto delle percentuali invece che dei voti. La Forza Italia senza il cavaliere vale esattamente quanto l’ ultima volta. Anzi, circa 130mila voti in meno.

Calenda e Renzi separati non vanno da nessuna parte. A sinistra l’alleanza con i verdi porta un milione e mezzo di voti e il superamento della soglia di sbarramento. Nel 2014, i due partiti separati ne avevano raccolti in totale un milione e trecentocinquantamila. Solo che allora i vari Bersani ed ex del Pci stavano nel Partito Democratico.

EFFETTI DEL VOTO

Per il momento nessuno dirà niente, potete starne sicuri. Ma, tempo qualche giorno di assestamento fisiologico, e si apriranno una serie di partite interne ai singoli gruppi (sia di maggioranza che di opposizione) per regolare i conti ancora aperti.

E non mancherà l’ esigenza di “ricalibrare” le quote di rappresentanza nel Governo uscito rafforzato dal voto nel suo complesso. Con Fratelli d’ Italia a questo punto sottodimensionata rispetto al bagaglio elettorale e la Lega sovrastimata rispetto a Fratelli d’ Italia ma anche a Forza Italia.

Un ministero leghista agli eredi del cav, e un rimescolamento di carte nei ruoli di sottogoverno? E’ lo scenario che trapela più frequentemente da radio palazzo, con la rassicurazione che c’ è chi ci lavorava già da tempo con uno sguardo ben puntato sul ministero occupato dal leghista Valditara, che comunque non sarebbe l’ unica opzione in campo…

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