Studentessa riammessa all’esame dal Tar

Giorni fa, partecipando al “toto traccia”, qui, sul nostro giornale, avevo pronosticato l’uscita di una traccia su Luigi Pirandello alla prima prova scritta dell’esame di Stato, e così è stato. Una delle due tracce per la tipologia Analisi del testo, infatti, invitava gli studenti a leggere un brano di Luigi Pirandello, tratto dal romanzo Quaderni di Serafino Gubbio operatore, pubblicato nel 1925, e di riflettere, grazie ad esso, intorno al rapporto uomo/macchina.

Occorre precisare che Pirandello da tempo lavorava a questo testo, romanzo che prima aveva avuto come titolo Si gira…, ci lavoravagià intorno agli anni 1913-1914 (venne, infatti, pubblicato nel 1916, con questo titolo originario, dall’editore Treves, per esserepoi ri-scritto e riproposto, con il nuovo titolo, appunto, diQuaderni di Serafino Gubbio operatore, nel 1925, presso l’editore Mondadori). 

L’opera affronta i temi della modernità e del macchinismo, assumendo una posizione piuttosto apocalittica. Pirandello infatti si schiera decisamente contro le macchine, e contro il progresso tecnologico. Anche nel brano proposto agli studenti, per l’esame di Stato 2023-2024, questa posizione anti-moderna di Pirandello è evidentissima:

L’uomo […] s’è messo a fabbricar di ferro, d’acciajo le sue nuove divinità ed è diventato servo e schiavo di esse.

Nella visione di Luigi Pirandello, come si evince dalla lettura di questo romanzo, compreso il brano proposto, la macchina disumanizza l’uomo, decretando il «trionfo della stupidità»:

…dopo tanto ingegno e tanto studio spesi per la creazione di questi mostri, che dovevano rimanere strumenti e sono divenuti invece, per forza, i nostri padroni

Specie questo passaggio del brano proposto lascia pensare (nelle intenzioni di chi lo ha proposto) a una fortissima e immediata connessione con il presente, con il nostro presente, tanto è vero che nella parte finale della traccia gli studenti vengono invitati esplicitamente a fare riferimenti, nei loro elaborati, «agli effetti che lo sviluppo tecnologico può produrre sugli individui e sulla società contemporanea».

Di sicuro, il pensiero di chi legge questo brano del romanzo pirandelliano corre immediatamente al dibattito odierno intorno alla robotica, alla tecnologia digitale, ai cellulari e all’Intelligenza Artificiale. Il collegamento, auspicato e suggerito dagli stessi estensori della traccia, è un collegamento immediato e, apparentemente, sicuro e vincente. Come non pensare, infatti, agli infiniti dibattiti odierni sull’AI, che rischia di avere il sopravvento sull’umanità? Questa forzatura del pensiero di Luigi Pirandello, a entrare nel nostro presente, nelle nostre paure che la tecnologia, da noi stessi creata, possa sfuggirci di mano, in parte, è un balzo legittimo. Decisamente, la posizione di Luigi Pirandello, sulla macchina, appare come «apocalittica», di rifiuto sprezzante e totale:

Viva la Macchina che meccanizza la vita!

[…]

Vedrete e sentirete, che prodotto di deliziose stupidità ne sapranno cavare.

Sembra di leggere un articolo di un qualsiasi moralista dei nostri giorni, che si scaglia contro l’AI, contro l’uso dei cellulari, e contro tutta l’odierna tecnologia digitale.

La domanda, piuttosto, è un’altra, e cioè perché Pirandello assunse questa posizione anti-moderna? Qual era il vero obiettivo polemico, nel suo tempo? Prima di “attualizzare” un Autore, infatti, e prima di piegarlo alle discussioni dei nostri giorni, a nostro uso e consumo, egli va contestualizzato nel proprio tempo. Ebbene, la prima stesura di questo straordinario romanzo di Pirandello risale, come ho già scritto, agli anni 1913-1914, agli anni del futurismo trionfante, e agli anni che precedono immediatamente l’arroventato clima di guerra in tutta Europa. Non anni qualsiasi, dunque. Il Manifesto del Futurismo era stato lanciato da Marinetti nel 1909, a Parigi. In esso, come tutti sappiamo, viene celebrata la macchina e il macchinismo, come cifra del moderno, come elemento caratterizzante i tempi nuovi, il mondo nuovo (e, di conseguenza, l’uomo nuovo). Non solo la macchina, ma anche la velocità, la violenza, il machismo, il pugno, il passo di corsa, l’antifemminismo. Insomma, tutta l’ideologia (fascista) che stava per trionfare in Italia (e in Europa). Con i suoi toni trancianti e trionfanti, Filippo Tommaso Marinetti aveva appena celebrato, nel suo Manifesto, le magnifiche sorti progressive della macchina.

Luigi Pirandello, invece, cosa fa? Si mette contro. Ecco, forse, prima di attualizzare il pensiero di un Autore, che pur è operazione legittima (e necessaria), occorre collocarlo innanzitutto nel suo tempo, per meglio comprendere le ragioni di alcune sue scelte artistiche (che sono, e che restano sempre anche scelte etiche, politiche). Questo romanzo di Luigi Pirandello, allora, in tutte e due le sue versioni, è da porre, innanzitutto, in relazione al trionfante coevo futurismo, ma anche in relazione a un più generale clima di guerra che si respirava in Italia e in Europa (la prima guerra mondiale, che, infatti, in alcune parti d’Europa giàinfuriava nel 1914), un clima che vedeva, proprio nella potenza nuova delle macchine, e nei ritrovati bellici tecnologici (aeroplani, mitragliatrici, carri amati, etc.), la via maestra per la vittoria.

Per l’esame di Stato, scommetto su Pirandello

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