È morto a 105 anni il pedagogista e critico d’arte Francesco De Bartolomeis, il padre del “sistema dei laboratori”

È morto a 105 anni il pedagogista e critico d’arte Francesco De Bartolomeis, il padre del “sistema dei laboratori”

È morto a 105 anni Francesco De Bartolomeis, considerato uno dei più noti pedagogisti della seconda metà del Novecento. De Bartolomeis aveva scritto decine di saggi di pedagogia, didattica, psicopedagogia e si era occupato in più occasioni di riforma della scuola. Tra i suoi saggi più noti ci sono “Idealismo ed esistenzialismo” (1944), “La pedagogia come scienza” (1953), “La ricerca come antipedagogia” (1969) e “Riflessioni intorno al sistema formativo” (2004). Nella seconda parte della sua vita si era occupato anche di storia dell’arte, pubblicando alcuni saggi.

De Bartolomeis era nato a Pellezzano, in provincia di Salerno, il 20 gennaio del 1918. Studiò a Firenze, dove fu allievo del pedagogista e filosofo Ernesto Codignola. Collaborò con Benedetto Croce e insegnò pedagogia all’università di Torino dal 1956 al 1988. Negli anni Settanta entrò nel Partito Comunista e fu eletto nel consiglio comunale di Torino, città in cui contribuì a far avviare una serie di iniziative scolastiche, tra cui il tempo pieno e la mensa.

 
Fautore e studioso del “sistema dei laboratori”, nella formazione degli educatori, il pedagogista e critico d’arte, considera questo approccio formativo “terreno favorevole a sviluppare capacità creative” e un fattore essenziale dell’educazione, poiché offre all’allievo la possibilità di osservare, apprendere e conoscere mediante un percorso del “fare” che si applica con l’osservazione diretta, l’immaginazione, la percezione ed il contatto.
La parola “laboratorio” fa parte del lessico dell’educazione attiva fin dalle sue origini. Uno degli esempi più eclatanti fu sicuramente la “scuola-laboratorio”, la scuola elementare annessa all’università che John Dewey aveva voluto e sperimentato a Chicago a partire dal 1896, il cui scopo era: “creare le condizioni che permettano e incoraggino la libertà di investigazione e che offrano le garanzie che importanti fatti non vengano sottratti alla ricerca” (Dewey, 1971, p.71).
Dewey, filosofo e pedagogista, militante dell’attivismo didattico, fu uno dei primi studiosi ad affermare l’importanza, nella riflessione pedagogica, dell’azione come base della conoscenza e della formazione degli allievi, formulando le sue ipotesi anche riguardo l’arte come esperienza. Nell’opera Democrazia ed educazione del 1916 con l’espressione learning by doing indicava ogni metodologia basata sul concetto di “imparare facendo”, metodo attivo di didattica che permette di imparare, capire, comprendere e non solo memorizzare in maniera mnemonica, grazie al docente che stimola, orienta e facilita il percorso.
Francesco De Bartolomeis teorizza un nuovo significato di laboratorio: un sistema di laboratori. Allievo di Ernesto Codignola, appassionato di psicanalisi, di scienza e del pensiero di Marx, si avvicina alla pedagogia intesa come “filosofia in azione o filosofia d’intervento”, vicina “all’esistenzialismo come mutamento sociale”. Studia le teorie pedagogiche di John Dewey ma si sofferma, in particolare, sul rapporto tra didattica e arte visiva, riprendendo il pensiero sull’arte, considerata il mezzo più indicato per utilizzare, in maniera costruttiva, l’energia creativa racchiusa nel bambino dal momento che stimola l’osservazione, il potenziamento dell’immaginazione e delle abilità comunicative. Già in Art as experience, saggio sulla didattica dell’arte a scuola e al museo, l’americano ribadiva l’importanza, nel rapporto con le opere, dell’esperienza, unico sistema per sperimentare, reinventare ed elaborare in simboli i linguaggi dell’arte. Pertanto l’esperienza estetica a scuola, che si configura sempre più come un processo e un’interazione linguistica tra le informazioni esterne, risulta, sia “sapere” che “fare” ed è intesa come tutte quelle strategie che coinvolgono educazione e arte, emozione e cognizione.

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