Sindacati in crisi perdono più di 850mila iscritti, si salva solo la UIL grazie alla “Coerenza”

La crisi di rappresentanza che ha svuotato le urne nelle ultime elezioni si riflette anche nel mondo sindacale. Le principali sigle sindacali italiane stanno perdendo migliaia di iscritti ogni anno. Dal 2011 al 2022, i tesserati hanno registrato una contrazione di circa 850mila persone, di cui oltre 582mila al Sud, pari a poco meno del 70% del calo complessivo.

La CISL è la sigla che ha pagato il dazio più salato, con una perdita di 491mila iscritti. Segue la CGIL con un calo di 476mila tesserati. Unici ad andare in controtendenza è la UIL, che registra un incremento di +118mila iscritti, merito sopratutto di attività politico-sindacali coerenti con quanto registrato nei loro programmi e assemblee. Esempio su tutto la firma del nuovo CCNL Scuola, dove la UIL Scuola è l’unica sigla non firmataria per la parte normativa, riconoscendo nel testo un peggioramento delle nuove condizioni contrattuali.

Come riporta anche l’articolo comparso su Italia Oggi a firma di Luigi Chiariello (ndr) sono sette le regioni che accusano le contrazioni maggiori: Campania (-197mila iscritti), Sicilia (-132mila), Lombardia (-99mila), Calabria (-96mila), Puglia (-94mila), Piemonte (-62mila) e Lazio (-54mila). Persino l’Ocse evidenziando le emorragie di CISL E CGIL, conferma un calo costante calo di iscrizioni dal 2013.

In base ai numeri estratti al 31 agosto 2023, il tasso di penetrazione del sindacato sul totale dei lavoratori è sceso dal 35.7% di dieci anni fa al 32,5% del 2019. Nel 2022, solo lo 0,8% della popolazione dai 14 anni in su ha dichiarato di aver svolto attività gratuite per il sindacato; nel 2001 era l’1,5%. Quasi il doppio. Ma la percezione negativa di questo trend esplode se lo si confronta con coloro che hanno operato gratis per il volontariato: sono l’8,3%. In termini assoluti, poi, rispetto a vent’anni fa, 312mila persone si sono defilate dall’impegno sindacale.

Il crollo è al Nord: quasi metà dei rinunciatari (48,4%). Seguono Sud (36,5%) e Centro (15,1%).

E i datori di lavoro? Non ridono: nel 2018 (ultimo dato Ocse disponibile) sul totale degli addetti, il 78,3% lavorava in aziende affiliate ad associazioni di categoria; un decennio prima era l’81%.

Questi dati, setacciati dal presidente di Demoscopika, Raffaele Rio, nel suo ultimo saggio “Oxy-politik™” (Tangram Edizioni Scientifiche), suonano come uno schiaffo alle élites.

La crisi sindacale non è prerogativa solo dell’Italia: in molti paesi occidentali i sindacati stanno perdendo iscritti, mentre il numero dei tesserati cresce in diversi paesi in via di sviluppo. Nonostante ciò, l’Italia ha il doppio degli iscritti ai sindacati della Germania e il triplo della Francia.

Le conseguenze sulla politica Italiana

La crisi dei sindacati come abbiamo riportato, ha avuto quindi un impatto significativo sulla politica del paese. Questa crisi, caratterizzata da una diminuzione costante del numero di iscritti e da una perdita di fiducia da parte dei lavoratori, ha portato a una serie di conseguenze politiche.

In primo luogo, la crisi sindacale ha contribuito a un cambiamento nel ruolo dei sindacati nella politica italiana. Tradizionalmente, i sindacati hanno da sempre svolto un ruolo chiave nel plasmare le politiche economiche e sociali, lavorando a stretto contatto con i partiti stessi per rappresentare gli interessi dei lavoratori.

Tuttavia, con il declino del sindacato, questo ruolo è stato ridimensionato. Alcuni settori politici hanno cercato di ridurre o limitare il loro ruolo, spesso senza il loro supporto o addirittura in opposizione a essi.

In secondo luogo, la crisi sindacale ha portato a una frattura irrimediabile. In passato, i sindacati e i partiti politici lavoravano insieme per promuovere gli interessi dei lavoratori, oggi sembra quasi che l’unico interesse sia solo quello di parte o del singolo elemento dirigenziale che deve fare carriera o del politico di turno che ha fame di voti. Tuttavia, in alcuni casi, i sindacati e i partiti politici sono diventati reciprocamente ostili, polarizzando le loro posizioni o addirittura una sola cosa facendo perdere la bussola ai lavoratori che di conseguenza sono anche elettori.

In terzo luogo, la crisi sindacale ha avuto un impatto sulla concertazione sociale, un metodo di governo che coinvolge la negoziazione tra sindacati, datori di lavoro e governo. Con il declino del sindacato, la concertazione sociale è diventata meno prevalente. Questo ha portato a una maggiore interferenza politica nelle decisioni sindacali e a una diminuzione dell’importanza della partecipazione sociale.

Infine, la crisi sindacale ha contribuito a un cambiamento nel panorama politico italiano. Con il declino del sindacato, i partiti politici hanno dovuto cercare nuovi modi per rappresentare gli interessi dei lavoratori. Questo ha portato a una maggiore enfasi sulle politiche di inclusione sociale e sulla ricerca di nuove forme di rappresentanza.

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